La gioia del Natale nella fragilità umana
Il Vangelo racconta che, al tempo di Cesare Augusto, fu ordinato un censimento di tutta la terra, quando Quirinio era governatore della Siria. A prima vista sembra un’indicazione storica precisa per stabilire la data della nascita di Gesù. In realtà Luca non vuole tanto dirci quando nasce Gesù, ma per chi nasce.
Quel bambino che viene alla luce a Betlemme, in un piccolo villaggio della Giudea, non è importante solo per la sua famiglia o per il popolo di Israele: è importante per tutto il mondo. Per questo Luca mette in relazione la nascita di Gesù con l’imperatore romano, la persona più potente di allora.
Il confronto è sorprendente: da una parte c’è Cesare Augusto, potente e seduto nel suo palazzo; dall’altra c’è un neonato fragile, deposto in una mangiatoia. Da un lato c’è chi comanda su milioni di persone; dall’altro c’è un bambino, uno tra tanti. Eppure, proprio così Luca ci dice che Dio, grande ed eterno, ha scelto di farsi piccolo, di entrare nel tempo e di condividere la fragilità della vita umana.
Gesù nasce in una stalla, perché non c’era posto per lui in una casa. È avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Questo gesto richiama ciò che accadrà alla fine della sua vita, quando il suo corpo sarà avvolto in un lenzuolo e deposto nel sepolcro.
Dio ci viene incontro abbassandosi, diventando l’ultimo di tutti. Così possiamo incontrarlo proprio nelle nostre debolezze, nelle nostre povertà e fragilità. Questo annuncio non è rivolto ai potenti, ma ai pastori, persone semplici e ai margini.
Il messaggio, infatti, non è per Cesare Augusto né per Quirinio, non per i grandi della terra, ma per i pastori: «Oggi per voi è nato il Salvatore». È questa la fonte di una gioia grande e indistruttibile, a una condizione: che, come i pastori, ci si metta in cammino per andare a vedere il segno che Dio ha donato.
Il segno è un bambino in una mangiatoia. Un segno che sembra quasi non esserlo: che cosa c’è di straordinario in un bambino che nasce? Eppure, Dio si fa riconoscere proprio così. La sua presenza non si impone, non è evidente: può essere colta solo con gli occhi della fede. Dio è vicino, ma resta diverso da tutto ciò che possiamo possedere o controllare. Si manifesta nel nascondimento.
Questa gioia ci raggiunge quando accettiamo di metterci in cammino. Anche oggi, in un mondo segnato da guerre, sofferenze e ferite profonde, Dio continua a nascere nelle bassezze dell’umanità: nella fragilità della malattia, nella paura della morte, nella stanchezza interiore, persino nella debolezza della Chiesa. Non siamo potenti, siamo pochi, ma è proprio lì che Dio sceglie di essere presente.
È ciò che celebriamo ogni anno nel giorno di Natale, un Natale che si prolunga in ogni giorno della nostra vita e ci ricorda che Dio nasce ancora, ogni volta, nella nostra fragilità. Un Dio che si fa piccolo, che non si impone, ma chiede di essere accolto.
Che questo Natale ci aiuti a riconoscere Dio che nasce nelle pieghe della nostra vita quotidiana, nelle nostre fragilità e nelle nostre povertà. Che ci doni il coraggio di metterci in cammino, come i pastori, e di lasciarci raggiungere da una gioia semplice ma profonda, capace di illuminare anche le notti più buie. A tutti un buon e santo Natale.