L’Avvento come cammino concreto di conversione

L’evangelista Luca inizia il brano di oggi con grande solennità: nomina l’imperatore Tiberio, il governatore Pilato, Erode e perfino i capi religiosi Anna e Caifa. È come se ci mostrasse il punto di vista dei potenti, di chi comanda e decide. Una storia che sembra importante solo perché è segnata dal potere.

Ma subito dopo, Luca ci spiazza: “La parola di Dio venne su Giovanni nel deserto.”

Dio non sceglie i palazzi, i luoghi del potere o le strutture umane. Dio sceglie il deserto: un posto povero, lontano, dove nessuno guarda. È lì che la sua voce torna a farsi sentire con forza e semplicità.

Il deserto è il luogo dove cadono le illusioni, dove non ci sono rumori che distraggono. È lo spazio in cui possiamo ascoltare davvero. E quando la Parola arriva nel deserto, non lo fa per intimorire, ma per ricostruire: per rimettere in ordine ciò che conta davvero, per far nascere un’umanità nuova.

È un nuovo inizio che chiede conversione: cambiare mentalità, cambiare direzione, lasciare che Dio raddrizzi ciò che si è storto nel nostro cuore.

Nella prima lettura, il profeta Baruc parla di questa nuova umanità usando l’immagine di Gerusalemme. Non la città geografica, ma la città degli uomini, la città di tutti, fondata sulla giustizia di Dio. Una città dove nessuno è escluso, dove la dignità è più forte dei confini e la fraternità più forte delle differenze.

Per costruire questa “città dell’uomo” – dice il Vangelo – bisogna raddrizzare i sentieri, abbassare i monti, colmare le valli. Sono immagini semplici ma potentissime:

Raddrizzare i sentieri significa prendere sul serio la nostra vita: smettere di perdere tempo, smettere di seguire strade che ci fanno stare male o ci allontanano dagli altri. Vuol dire tornare sulla strada giusta, scegliere la verità invece delle scuse.

Abbassare i monti significa mettere da parte l’orgoglio e smettere di sentirci superiori. Vuol dire riconoscere che non siamo più importanti degli altri. I “monti” sono quelle barriere che ci separano: la presunzione, la durezza, il voler avere sempre ragione. Solo quando li abbassiamo possiamo incontrare davvero le persone.

Colmare le valli significa riempire i vuoti che ci separano dagli altri: guarire ferite, chiedere perdono, ricostruire rapporti che si sono raffreddati. Le “valli” sono le nostre paure, le insicurezze, la mancanza di fiducia. Colmarle vuol dire lasciare che Dio ci dia forza e ritrovare il coraggio di voler bene.

Questo è il lavoro che l’Avvento ci consegna: prepararci non con luci e decorazioni, ma con la concretezza della vita. Il Natale ci ricorda che Dio ama il nostro mondo e ci chiede di costruire giustizia, rispetto e libertà.

Eppure, non possiamo stupirci se il mondo continua a essere segnato da ingiustizie e disuguaglianze. Spesso lo alimentiamo con la nostra indifferenza. 

In questo deserto di umanità, Dio continua a parlare. La sua Parola scende come un seme, come forza che vuole trasformare la nostra vita. 

E allora cosa possiamo fare noi? La stessa domanda che le folle fecero a Giovanni Battista.

Giovanni rispose con gesti semplici e concreti:

  • Chi ha due mantelli ne dia uno a chi non ne ha. Condividete.
  • I pubblicani, cioè gli esattori delle tasse: non imbrogliate, siate onesti, accontentatevi.
  • I soldati: non maltrattate, non abusate del vostro potere, rispettate la vita.

Questo – dice Luca – è già Vangelo. Prima ancora che Gesù inizi il suo ministero, Giovanni sta già annunciando il Vangelo della giustizia, dei diritti, della trasparenza.

Il Vangelo che Gesù vivrà fino all’ultimo giorno, fino al dono della sua vita.

Che il Signore ci conceda di essere anche noi profeti della sua giustizia. A partire dalle piccole scelte di ogni giorno. A partire dal nostro cuore.