Al via le celebrazioni per i 500 anni di San Vittore

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Un anno di mostre, concerti e serate culturali


Cinquecento anni e non sentirli. Dopo essersi rifatta il look, la Basilica di San Vittore di Arcisate può festeggiare al meglio il suo primo mezzo millennio di vita. Le iniziative per celebrare la ricorrenza sono partite settimana scorsa con l’importante visita dell’arcivescovo monsignor Delpini, e proseguiranno per tutto il 2021, anche attraverso momenti per valorizzare quanto i lavori di ristrutturazione degli ultimi anni hanno riportato alla luce, svelando i resti della precedente chiesa medievale, delle tombe “a camera” e delle antiche lapidi.

Ma come vivono il parroco di Arcisate e il suo vicario questi giorni così ricchi di eventi? Don Claudio Lunardi e Don Valentino Venezia, giunti nella cittadina della Valceresio rispettivamente nel 2019 e nel 2015, ci hanno raccontato le loro emozioni e riflessioni e ci hanno anticipato alcune delle iniziative in cantiere per questa importante ricorrenza.


Innanzitutto, perché è importante per la comunità di Arcisate festeggiare i cinquecento anni della propria basilica?

Don Claudio: 
“È importante non solo per rileggere il passato, che è bello sapere che c’è stato, ma perché sia di stimolo per guardare avanti e aprire lo sguardo al futuro. La Chiesa non è solo mura e, anche se ringraziamo sempre chi ha lavorato, se oggi festeggiamo è perché siamo le pietre vive della comunità e dobbiamo amare la Chiesa, non dobbiamo essere delle pietre morte e immobili.”

Don Valentino: 
“È importante certamente per riscoprire la storia che ci ha preceduto, le vicende storiche legate alla comunità, le persone passate e le radici della fede. Nello stesso tempo, come ci ha ricordato il vescovo, è importante per essere rivolti al futuro, a partire dalle radici che non possono essere cancellate e senza cui non possiamo vivere. Chi ci ha preceduto ci ha dato l’impronta, e noi siamo chiamati a vivere i giorni presenti.”


Cosa si prova a essere parte di questa comunità proprio nell’anno in cui cade questo anniversario? Si sente in qualche modo fortunato?


Don Claudio:
“Un parroco è sempre fortunato quando vive in una comunità bella e che si vuole bene, quando una comunità è viva il parroco è contento. Ed è bello che ci sia questo evento per ricaricarsi e per sentirsi sempre vivi.”

Don Valentino: 
“Un dono. Essere presenti qui, in questa comunità, nell’anno che si è scoperto essere il cinquecentesimo della basilica è sicuramente un grande dono. Durante la pandemia ho avuto più tempo per guardare gli archivi storici e ho ricostruito alcuni aspetti della storia della basilica: ho avuto l’occasione per scoprirne la ricca storia. Essere qui oggi è un dono e una responsabilità, quella di custodire e trasmettere ciò che ci è stato affidato.”


Cos’ha significato per voi la recente visita di monsignor Delpini?


Don Claudio: 
“La visita dell’arcivescovo è sempre una cosa importante. Monsignor Delpini è venuto a lasciarci dei messaggi per continuare il nostro cammino: dobbiamo essere persone con il fuoco dentro, non quello esteriore che può essere spento, ma quello dentro che tiene vivo l’animo.”

Don Valentino: 
“Per me è stato come avere il buon pastore in casa. È stata un’occasione soprattutto per i fedeli che magari hanno sempre letto di lui o ne hanno sentito parlare. La sua è stata una presenza che ci ha incoraggiato, guidato e spronato a essere cristiani fino in fondo. Ho apprezzato molto la sua omelia: è partita da un racconto delle origini della fede in Valceresio ed è giunto fino a noi e al nostro cinquecentesimo anniversario.”


Come ha reagito alla notizia dei numerosi ritrovamenti storici durante i lavori di ristrutturazione?


Don Claudio: 
“Io è da poco che sono qua, e alcuni scavi, quando sono arrivato, purtroppo erano già chiusi. Sicuramente fanno parte della storia, e sapere che c’è stata una comunità viva è una responsabilità per tutti.”

Don Valentino: 
“Sono un grande appassionato di arte, perciò ho seguito attentamente tutti i lavori. Essendo qui dal 2015 ho fatto in tempo a vivere i lavori sin dall’inizio, e così la scoperta delle tombe. Poter vedere con i propri occhi giorno dopo giorno i ritrovamenti è stata una gioia immensa. È stata creata una raccolta di documentazioni, nata proprio da questa passione.”


Avete entrambi ricordato che noi oggi siamo le “pietre vive” di questa Chiesa. Qual è lo spirito per esserlo, in un periodo difficile come questo?


Don Claudio: 
“Essere pietre vive vuol dire essere testimoni, nonostante spesso abbiamo l’impressione che la nostra fede sia riservata all’ambito personale, vuol dire essere vivi nell’ambiente in cui viviamo. Oggi a fatica si parla del Vangelo, ma essere pietre vive significa essere missionari anche dove il Vangelo è spento, vuol dire che nel fare questo ci si dà da fare e ci si mette passione.”

Don Valentino:
“La pietra di per sé è morta, perciò è l’aggettivo “vivo” che deve fare la differenza. Il cristiano deve essere una pietra attaccata alla storia e alla tradizione della Chiesa, ma è fondamentale che sia vivo per saper parlare e agire. Essere pietre vive significa essere testimoni della fede nel mondo di oggi, che sia nella comunità, negli oratori, ma anche sul lavoro e nelle scuole, questa è la sfida. Come disse papa Paolo VI, “non abbiamo bisogno di maestri, ma di testimoni”, e testimone è colui che dice e fa nello stesso momento.”


Come ha risposto la comunità dei fedeli ai cambiamenti imposti dalla pandemia?


Don Claudio: 
“In un primo momento la risposta è stata animata da paura e titubanza. Poi progressivamente la partecipazione è ripresa. Purtroppo è da segnalare come la fascia giovanile sia sparita. È difficile riuscire a coinvolgere i giovani, era già così anche prima, ma la pandemia ha accentuato questo aspetto.”

Don Valentino: 
“È stata una rivoluzione per tutti in tutti i campi, anche per la Chiesa e per la trasmissione del Vangelo. Ci ha posto davanti alla realtà, ci ha permesso di fermarci un attimo e riflettere. La pandemia ha portato alla luce la vera fede di molta gente: si sono viste le “pietre vive”, cioè le persone veramente desiderose, nonostante tutto, di proseguire il loro cammino e di vivere la propria fede; mentre coloro che vivevano una fede spenta e abitudinaria si sono allontanati e faticano a tornare. La pandemia, all’interno del suo dramma, ha aiutato a porsi domande.”


Avete parlato di eventi celebrativi per tutto il 2021: cosa avete in mente?


Don Claudio: 
“È stato costituito un comitato che ha il compito di organizzare tutte le attività. Abbiamo in mente mostre e altre diverse serate. Inoltre, per fine giugno stiamo provando a organizzare anche un concerto. Per ora sono solo idee e desideri, legate anche all’andamento della pandemia.”

Don Valentino: 
“Ad Arcisate di solito organizziamo grandi festeggiamenti per la festa del santo patrono. Tra questi il palio dei rioni, che però, quest’anno, è stato ridotto alla sola celebrazione della messa a causa della pandemia. Sicuramente abbiamo in mente grandi cose, soprattutto nel mese di settembre, in occasione dell’inizio dell’anno pastorale, e per la festa della Madonna delle Grazie. L’idea è quella di organizzare, oltre alle celebrazioni, delle serate culturali per comprendere la bellezza artistica e culturale del nostro paese, con la presenza di esperti e docenti di arte che illustrino l’aspetto degli affreschi e delle lapidi trovate. Questo avevamo già intenzione di organizzarlo per il mese di maggio, ma la pandemia ci ha costretti a rinviarlo, forse a settembre.”


Per finire, come se la immagina Arcisate e la sua comunità nel 1521?


Don Claudio:
“Immagino gente che veniva volentieri in chiesa, che la sentiva come casa propria. Gente che si dava molto da fare nel lavorare e nel costruire, ma che trovava sempre tempo per vivere la fede e stare vicino alla propria comunità.”

Don Valentino: 
“L’arcivescovo è partito da un’immagine che credo abbia suscitato un po’ di scalpore: una valle abitata da cinghiali, molto rupestre e primitiva. Immagino una comunità composta da gente che lavorava duramente, che svolgeva mestieri soprattutto agricoli, ma veramente ardente di fede. Se è stata costruita una basilica di questo livello e se il desiderio di avere una chiesa consacrata era così forte, questa gente, pur semplice e magari poco acculturata, era notevolmente attaccata alla propria fede. Questo è un aspetto da riscoprire.”


di Lorenzo D'Angelo Pubblicato il 18 Maggio 2021 su  Varesenews.it 


 

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